Inizia il mio secondo anno tra voi, e lo inizio con delle certezze maggiori e una consapevolezza più forte e chiara di ciò che mi aspetta.
Questa volta non parto dal Covid 19, sono veramente stanco di darla vinta a quel piccolo invasore di virus che sta condizionando il nostro vivere. Virus o no, tutti noi siamo chiamati a rialzare la testa per costruire un altro pezzo di storia della nostra comunità pastorale e della nostra vita familiare personale.
E vogliamo farlo come Chiesa, non in una maniera qualunque. Non c’è tempo per fermarci a rimpiangere ciò che poteva essere e non è stato possibile realizzare. Intendo invitare tutti voi a guardare avanti e per farlo, ci lasciamo condurre dalla sapienza della Chiesa che aveva già tracciato a Firenze, nel convegno circa il ruolo e l’azione dei laici nella Chiesa, il cammino da intraprendere, attraverso 5 verbi.
1. Uscire
«Voi uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso. Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada. Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo». In queste parole di papa Francesco troviamo l'indicazione del grande compito per il nostro tempo, segnato dalla creatività e dal travaglio tipici di ogni cambiamento d'epoca. Quando si presentano nuove sfide, addirittura difficili da comprendere, la reazione istintiva è di chiudersi, difendersi, alzare muri e stabilire confini invalicabili. È una reazione troppo umana. E qui vorrei che si raccogliesse la prima sfida, in una prospettiva nuova: si può uscire con fiducia; si trova l’audacia di percorrere le strade di tutti; si sprigiona la forza per costruire piazze di incontro e per offrire la compagnia della cura e della misericordia a chi è rimasto ai bordi. Vorrei che il vostro cuore battesse all’unisono con il mio nel prenderci a carico i fratelli che si sentono o si sono esclusi dalla chiesa… andiamo a recuperarli!
2. Annunciare
«Rallegrati», dice l’angelo a Maria. L’annuncio ha da subito il sapore della “gioia”. Come la Vergine, sperimentiamo davvero la gioia del Vangelo. Annunciare è gioire, è aumentare la propria vita, è osare, è condividere, perché non esiste gioia che non senta il bisogno di essere condivisa. Annunciare la gioia, non la paura: la gioia non è allegrezza da esibire, ma profondità, leggerezza e umiltà. Puntiamo all'essenziale. Incamerando la sapienza a cui ci invita il nostro Arcivescovo Mario, vorrei invitare la mia Comunità a ricompattarsi sul messaggio centrale della nostra fede: il Figlio di Dio incarnato (che dà attenzione alla concretezza delle situazioni reali delle persone), Gesù che è morto (e che muore nelle difficoltà, nei fallimenti, nella sofferenza e nell’esperienza della morte che ognuno di noi può aver fatto), Gesù che è risorto (perché la morte offerta per amore non è l’ultima parola, perché si possa sperimentare una vita carica di prospettive e capace di sperare). Come comunità cristiana abbiamo qualcosa da dire all’uomo di oggi; non lasciamo la parola solo a chi urla (spesso a sproposito) e a chi ha sempre da lamentarsi.
3. Abitare
È un verbo che, come viene mostrato anche nella Evangelii Gaudium, non indica semplicemente qualcosa che si realizza in uno spazio. Non si abitano solo luoghi: si abitano anzitutto relazioni. E in tutto questo non si parte da zero. Il cammino ulteriore che ci attende è un cammino che come comunità stiamo facendo da tempo, andando incontro alle singole esigenze di vita. Lo facciamo, consapevoli che l’abitare, per il cattolico, è anzitutto un “farsi abitare da Cristo”, perché solo a partire da qui può essere fatto spazio all’altro. Mi domando: in cosa consistono, concretamente, queste relazioni buone che dobbiamo rilanciare e praticare nella vita di tutti i giorni? Mi vengono in mente alcuni verbi: ascoltare, lasciare spazio, accogliere e accompagnare. Si deve partire credendo fortemente alla forza delle relazioni.
4. Educare
per educare occorre avere il cuore aperto. L’educazione è una scommessa laboriosa, fatta di rinunce, ascolto e apprendimento, i cui frutti si raccolgono nel tempo, regalandoci una gioia incomparabile. Si realizza quando l’educazione cristiana, rischiando modi e forme sempre nuove, si conforma all’educare di Cristo, sia quanto a contenuto (l’unicità e irrepetibilità della persona – impariamo a stimarci!) sia quanto a metodo (la centralità della persona, la relazione e l’incontro personale, l’attenzione alle attese, alle domande, alle fragilità e ai bisogni, la pazienza e il rispetto dei ritmi di crescita di ognuno). Tanto stiamo facendo nel campo dell’educare, ma mi permetto di mettere in guardia su alcune attenzioni di fondo: la priorità nell’educare va data agli ideali, non alle ideologie. In secondo luogo, sono convinto che all’educatore siano richiesti “esercizi” di umiltà, per accompagnare e non forzare i percorsi di crescita; “esercizi” di disinteresse e gratuità, per non legare a sé le persone ma orientare e proporre rispettando la libertà. Se la fatica di educare è evidente, tuttavia è sempre un compito bello e appassionante. Le sfide dobbiamo percepirle come risorsa più che come problema, come opportunità per ripensare e rivedere alcune prassi, come sollecitazione al cambiamento.
5. Trasfigurare
Gesù nei suoi incontri quotidiani, nel suo sguardo sul mondo e l’umanità, non ha mai lasciato cose e persone come le aveva trovate, ma ha trasfigurato tutto e tutti. Ha fatto nuove tutte le cose. È il Signore che trasfigura, non siamo noi! Che bello se la nostra Comunità Pastorale si lasciasse trasfigurare senza ostacolare l’opera di Dio in noi e intorno a noi, ma sapendola piuttosto riconoscere e aderirvi. In sintesi, trasfigurare è far emergere la bellezza che c'è, e che il Signore non si stanca di suscitare nella concretezza dei giorni, delle persone che incontriamo e delle situazioni che viviamo.
Inizio il 2° anno in mezzo a voi… con tanta energia interiore di proporre, invitare, indirizzare… perché avverto che tutti abbiamo voglia di cambiamento… perché Gesù non è venuto a conservare l’esistente, ma a renderlo più bello… Ci state?
don Giampietro