Introduzione al percorso di catechesi per adulti e giovani sul tema morte-risurrezione Abbiamo ancora nelle orecchie il canto solenne dell’Alleluja e la scampanata a festa del giorno di Pasqua. Proprio a partire dalla risurrezione di Gesù, vogliamo aiutare tutti voi a dare risposte cristiane al grande e crocifiggente tema che da un anno almeno ha guadagnato la ribalta dalla nostra vita: il tema della morte analizzato sotto la luce cristiana della risurrezione. Quanti funerali abbiamo celebrato, quante persone care abbiamo accompagnato! Ma la nostra fede ci permette una risposta che non sia semplicemente una pia consolazione, ma sia invece in grado di motivare il tratto di esistenza che stiamo percorrendo con le sue domande, spesso senza risposta? Il cammino formativo che intendiamo proporvi fino a fine maggio intende provare ad accompagnare il disagio che tali interrogativi hanno suscitato. Molto più che una questione biologica, la vita umana, la vita di ogni uomo, è una storia concreta. Anche se di essa non fosse mai scritto una «biografia», la vita di un uomo ha sempre una forma determinata: la forma di un racconto. Più che costituire l’oggetto di riflessioni astratte, la vita umana è dunque un racconto, con una trama precisa e imprevedibile: ogni uomo nasce e muore, ma nessun incontro con l’altro, nessuna nascita e morte, nessuna sofferenza sono uguali a un’altra; ogni uomo sa che cosa significa «desiderare», «sperare» e «soffrire», incontrando quell'altro - padre e madre, figlio, fratello, amico, amato o amata, e tutti i volti più o meno noti che popolano la sua vita - che sollecita la sua libertà, in un dialogo sempre rischioso e in un intrecciarsi fluente di sentimenti antichi e sempre nuovi. Nessuna riflessione può quindi sostituirsi all’esperienza della vita. Nella vita, nella morte, nel patire, nell’incontro con l’altro, l’uomo fa una straordinaria esperienza: qualcosa gli è «dato», e da ciò egli non può sottrarsi; e, proprio per ciò, a lui resta ancora molto da «fare» e da «dire». Singolarmente, in latino «nascere» (nascor), «morire» (morior) e «patire» (patior) sono dei verbi deponenti, di forma passiva e di senso attivo. La lingua latina esprime la contemporanea esperienza che «qualcosa avviene» senza di noi e noi lo subiamo passivamente; e tuttavia siamo ancora sempre noi ad «agire» e questo coinvolge la nostra libertà, interpellandola a riconoscere il senso che le viene offerto gratuitamente. Il dono precede la libertà: la fede è questa esperienza fondamentale di «sentirsi in debito» verso Qualcuno. Il «dono» che precede la libertà è tuttavia spesso oscurato, non è sempre facile da riconoscere e richiede necessariamente il rischio della fede. Solo quando accetta il «prezzo di credere» l’uomo - ogni uomo - diventa capace di recuperare il senso e il «gusto» che gli viene anticipato come una promessa in ogni esperienza umana. Così, l’esperienza del nascere e del morire, e del vivere - come ogni umano «desiderio» - implica la gratitudine della fede e lo sforzo della riflessione, anche morale, che non si aggiunge dall’esterno ad essa, ma ne costituisce un'esigenza legittima, intrinseca e costitutiva. In tale riflessione si è sfidati a riconoscere i grandi valori morali implicati nell’esistenza umana e nella fede cristiana. Tali valori interpellano la coscienza personale e i comportamenti del singolo, ma non solo. L'uomo non esiste da solo. Egli riceve dalla cultura in cui nasce la «grammatica» per esprimersi ed entrare nel vivo del dialogo umano. Ecco allora il cammino che vi proponiamo: abbiamo chiesto a cinque “testimoni” di proporci delle riflessioni tematiche sul tema della morte e della risurrezione. Tali riflessioni seguiranno questo percorso: biblico, teologico, filosofico, storico e liturgico. Dedicheremo a questo percorso catechetico i venerdì sera, partendo dal 23 aprile in poi. Ci si troverà in cripta a Masnago, inizieremo con una preghiera e ascolteremo la testimonianza video del “testimone” di turno. Al termine ci riserveremo 30/40 minuti per interagire comunicandoci fatiche, perplessità, domande… che l’argomento ha suscitato in noi. La domenica precedente sul foglio “In Cammino” ci sarà la scheda di presentazione dell’argomento su cui rifletteremo con anche delle domande di supporto. Dal sabato mattina si potrà trovare il medesimo intervento video anche sul sito della nostra Comunità Pastorale, cosicché ci si possa organizzare anche come nuclei familiari per seguire, pregare, comunicare la propria fede. Non ci vogliamo arrendere al mistero della morte, perché siamo fermamente convinti che per noi cristiani la vita è dono e promessa. Don Giampietro
Guarda tutti gli articoli della comunità
Nella notte di Pasqua non facciamo altro che cantare “Alleluja”, “Regina caeli, laetare”, “Exsultet”… Tutte espressioni di gioia… ma questa gioia è motivata quest’anno? In questa Pasqua 2021 abbiamo motivi per sentirci nella gioia? Si sta radicando e dilatando sempre più in noi la gioia del Signore? Mi sono sentito un po’ in imbarazzo nel dover scrivere l’editoriale di Pasqua quest’anno, perché si ha come l’impressione di “prendere in giro” coloro che stanno soffrendo sotto tanti punti di vista. Spesso gli ideali e i pensieri hanno dei margini di compromesso che la vita non ci consente. In un attimo devi riaprire gli occhi e rileggere la tua storia che si colloca fra Adamo che si nasconde e Gesù che dice: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Abbiamo meditato in questi giorni come Gesù, nell’ultima cena ha su di sé le lunghe e scure ombre del fallimento nel vedere che, coloro in cui ha sperato, non capiscono. Non c'è una via che porti fuori dal cenacolo senza passare per il monte degli ulivi, il monte della spogliazione, il monte dell’abbandono a Dio. Ci vuole questa trasformazione del monte degli ulivi, questa trasformazione del pianto, per arrivare poi all’abbandono. Che logica strana è quella della croce: essere sconfitti per vincere, essere poveri per arricchire, essere inutili per essere indispensabili, scomparire per essere presenti, perdere per trovare, donare per possedere. Gesù non ha inventato la croce e davanti a lei appare debole, fragile e indifeso: ha solo messo nella croce un germe di amore, liberandoci non con la sua sofferenza, ma col suo amore. Si può sigillare un sepolcro, si può mettere davanti una guardia, ma non si può impedire che la vita abbia inizio in coloro che l’hanno compresa. Ecco allora cosa significa per me quest’anno calarmi nella gioia della Pasqua. La gioia non è da attendere come qualcosa che può capitare o meno, ma è il frutto di quel cammino che, contemplando la passione e risurrezione del Signore Gesù, diventa la scelta radicale e voluta del Vangelo. Abbiamo camminato insieme in questa quaresima, non solo attraverso le meditazioni degli Esercizi Spirituali Parrocchiali, non solo contemplando le figure di santità al venerdì sera, non solo offrendo qualcosa di nostro per i progetti di carità… ma abbiamo camminato insieme perché ci siamo aiutati nei momenti di difficoltà, ci siamo consolati vicendevolmente nelle occasioni più tristi, ci siamo rincuorati quando la speranza abitava da un’altra parte… E da Gesù apprendiamo anche un altro motivo per esprimere la nostra gioia: Gesù è il buon pastore non perché c’è un bisogno che gli fa dare la vita, la sua vita è buona in quanto è offerta… questo vale anche per la bontà della nostra vita… le nostre amarezze, rivendicazioni e paure si scioglieranno quando riconosceremo che la nostra identità più profonda è quella di essere gratuiti in tutto ciò che facciamo nella vita e qualunque sia la condizione di vita in cui siamo chiamati ad agire. È importante aiutarci l’un l’altro a sentirci come dono. È importante che una volta in vita una persona si senta dire: “tu sei un dono”. Da qui vogliamo ripartire in questa nostra Pasqua. È dunque possibile una storia nuova? È possibile che uomini e donne in carne e ossa possano vivere una storia giusta, invece che sbagliata? Una storia dove “ho indovinato” il momento giusto per esserci invece che una storia in cui “ho sbagliato” il momento? Una storia di speranza invece che di disperazione? La storia nuova si scrive se ci sono uomini e donne nuovi. Ecco carissimi, iniziamo la terza parte del nostro anno pastorale. Come diaconia ci attendiamo risposte di persone che hanno desiderio di ripartire bene, ripartire da una vita che ha voglia di essere bella. Non mancheranno da parte nostra nuove proposte, continueremo ad accompagnarvi nelle vicende delle vostre esistenze, perché siamo convinti che la luce di Pasqua illumina le nostre vite, spiega la nostra storia. Ma siamo altrettanto convinti che si può raccontare solo mettendo in gioco tutta la nostra vita. Ecco perché da questa Pasqua io non vedo l’ora di ripartire... perché non siete gli stessi “parrocchiani di prima”, gli stessi “parrocchiani del venerdì santo”, ma una comunità nuova, perché ha sperimentato che non c’è più nessuna pietra che ora possa bloccare la nostra gioia. Don Giampietro
Con il 18 maggio don Giampietro riprenderà il giro delle parrocchie e sarà a disposizione per le necessità dei singoli parrocchiani. In occasione della presenza nelle singole parrocchie resterà anche a disposizione per le confessioni individuali. Il calendario delle visite è il seguente (salvo imprevisti e funerali): lunedì pomeriggio: 15:15 - 16_30 Capolago 16:30 - 17:30 Cartabbia martedì pomeriggio: Masnago (solo su prenotazione previo accordo diretto con don Giampietro) mercoledì pomeriggio: Masnago giovedì mattina: 10:30 - 11:30 Calcinate del Pesce giovedì pomeriggio: 15:00 - 17:30 Bobbiate venerdì mattina: 09:15 - 10:30 Lissago venerdì pomeriggio: 15:30 - 17:00 Avigno 17:00 - 18:00 Velate Il sabato mattina è a disposizione di tutti indistintamente dalla parrocchia di residenza, su prenotazione previa.
A conclusione della settimana dell'educazione... per ripartire! Poche settimane fa nell'editoriale di "In cammino" sulla settimana dell'educazione scrivevo del desiderio che la settimana dell'educazione diventasse l'occasione per le diverse equipe educative della pastorale giovanile dei nostri oratori per sognare. Ora dopo alcune settimane vorrei consegnare alla comunità un primo frutto, che completato anche con qualche vostro suggerimento, possa essere consegnato all'Arcivescovo Mario il prossimo 27 febbraio nell'assemblea diocesana degli oratori. 1. La nostra comunità educante (e non solo) deve imparare a sognare in grande. È un dovere perchè è in questo sognare propositivo che possono sprigionarsi idee e confronti costruttivi e innovativi. La nostra comunità deve imparare ad apprezzare i frutti del passato, ma anche saper andare avanti, a cercare sempre nuove mete in ascolto del tempo presente, affrontando e vivendo anche le limitazioni di questo tempo, che non sono però limitazioni ad essere una comunità viva! E per costruire un sogno il metodo da seguire non è quello dei "programmi scolastici", ma quello del progettare secondo quelle parole che Papa Francesco rimarca come strada delle scelte (discernimento): pregare, pensare, agire. 2. La nostra comunità educante deve credere nella sua testimonianza. Se da una parte abbiamo compreso come il nostro cammino educativo non può prescindere da un accompagnamento dei soggetti coinvolti nella azione pastorale (i ragazzi, ma anche le stesse famiglie), un accompagnamento capace di vicinanza con gesti concreti, dall'altra però non può esistere ciò senza credere nella bellezza della testimonianza evangelica che siamo e che abbiamo, ognuno con il proprio vissuto. Prima di cercare i grandi testimoni, dobbiamo imparare a verificare la nostra testimonianza e a credere che anzitutto da noi passa il Vangelo, dalle nostre vite passa il Signore. E lasciare agire lo Spirito nella nostra vita con la sua carica di creatività non può che aiutarci ad essere veramente una comunità della gioia e della festa, anche nella difficoltà. I momenti formativi e spirituali si pongono questo obiettivo: non "sfiduciare" la testimonianza, ma incoraggiare sempre un processo di crescita educativa e spirituale che continua nella vita e nel cammino di fede. 3. La nostra comunità educante deve coraggiosamente ripensarsi. Nel suo agire , che deve essere comunitario e unitario, in quanto pur con diverse finalità educative, tutte le realtà educative dell'oratorio puntano alla crescita spirituale e in maturità dei ragazzi e a un crescere insieme tra adulti. E questo camminare insieme deve trovare anche un coinvolgimento non solo nell'accompagnare, ma anche nell'accogliere le diversità di linguaggi e vedute, ricchezza di carismi presenti nella comunità. Il luogo sorgivo di questa sinfonica comunione è l'eucarestia: qui è il punto di partenza del nostro essere comunità qui tutti si devono sentire attratti non solo ovviamente dal Mistero, ma da una comunità che mi accompagna a saperlo incontrare nell'oggi e non con un pensiero che è distante da me. Nelle sue figure . Non può esistere un camminare in avanti senza un ripensarsi anche delle figure educative coinvolte. Da una parte progetti sempre più grandi richiedono nuove figure capaci di sostenere l'azione educativa. Penso ai volontari dei doposcuola, alle pulizie degli ambienti, ai servizi del bar, al catechismo. Dall'altra si rende necessario unrinforzo delle nuove generazioni in alcuni ambiti, penso alla società sportiva, ai comitati delle feste, alla gestione anche amministrativa degli oratori. Anche la figura del prete di pastorale giovanile deve evolversi: non può più essere il coadiutore, colui che coordina la macchina, ma colui che accompagna i processi spirituali dei singoli e quelli pastorali di una comunità educante, affiancandosi all'agire primario della comunità, non sostituendosi. Nel territorio . L'agire di una comunità educante non si richiude nelle mura dell'oratorio del proprio campanile, ma si affaccia a creare relazioni educative costruttive con le realtà caritative, a partire dall'agire della nostra caritas, con le scuole e con gli ambiti educativi del territorio della comunità pastorale e non solo, interagendo anche con la realtà cittadina e con le parrocchie della città. Nella sostenibilità economica . La raccolta fondi "Insieme Ingioco"avviata attraverso il contributo della fondazione Peppino Vismara oggi si pone come obiettivo quello di sostenere le attività di doposcuola attivi sui due oratori "centrali" della comunità, la pastorale dei ragazzi delle medie, delle superiori e dei giovani, gli oratori estivi, il coordinamento dei cortili e delle attività di animazione e alla costruzione di percorsi di inclusione per ragazzi con disabilità. Il sostegno economico è destinato in particolare alle spese attive degli oratori di acqua, luce e gas, al materiale e al pagamento delle quattro figure professionali volte al coordinamento delle attività sopra indicate. Questa è un onere che la comunità deve saper affrontare insieme, nel credere nella prospettiva delle potenzialità educative dei nostri oratori, sapendo investire su di esse. I frutti emersi in queste settimane possono ora trovare un ulteriore contributo nella comunità. Per questo chi desidera donare un suo contributo a quello che finora è emerso potrà farlo in questa settimana fino a venerdì 12 febbraio scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. o contattando don Matteo (3893143032). Don Matteo
Offro qualche spunto, che spero utile, per la Settimana Santa, da noi ambrosiani chiamata Settimana Autentica, perché autentico è l’amore e la santità del Signore! LA STRADA CHE ACCOGLIE. Gesù, nella domenica che precede la sua Passione, percorre una strada affollata e accogliente nel suo ingresso a Gerusalemme. Egli cavalca un asino che era la cavalcatura dell’umile re di pace. Tanta folla lo accoglie gettando sulla strada i propri mantelli, che per i poveri erano letto, coperta, vita! E la gente lo acclama con gioia: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” (cfr. Gv 12, 12-19). Ci uniamo idealmente anche noi alla folla, perché dopo tante “restrizioni”, che purtroppo continuano, desideriamo fare festa con gioia. Ma è il nostro cuore che deve gridare al passaggio del Cristo: “Salvaci!”. “Non passi a vuoto il Signore sulla nostra strada, perché potrebbe non passare più. Perciò non perdiamo le occasioni per un incontro ravvicinato con Dio” (Sant’Agostino). In questa Domenica delle Palme, ma pure dopo, non perdiamo l’Ingresso di Gesù in città e, soprattutto, il suo ingresso nella nostra vita! LA CASA CHE CELEBRA. Gesù entra in una casa prenotata in precedenza: si siede a tavola con i suoi discepoli in una bella stanza preparata al piano superiore e celebra la Pasqua. Su quella tavola Gesù, con i suoi amici, fa memoria della Prima Alleanza e poi invita a fare memoria della Nuova Alleanza nel suo nome. Qui spezza il Pane e offre il Vino ai suoi discepoli, ma è la sua stessa Vita che dona a tutti per Amore, invitando a fare altrettanto: “Fate questo in memoria di me!”. Anche ciascuno di noi è invitato a fare la Pasqua da Gesù stesso: “Il mio tempo è vicino, farò la Pasqua da te con i miei discepoli” (cfr. Mt 26, 17-29). In questo Giovedì Santo, ma non solo, la Cena del Signore e la vita nelle nostre case siano vissute nel dono reciproco della pace e della fraternità! IL MONTE DI CHI SI AMA. Gesù, sulla collina del Calvario, venne brutalmente inchiodato alla croce: “erano le nove del mattino” (cfr. Mc 15, 25-39). L’albero del divieto, che aveva allontanato dal “giardino” Adamo, simbolo di ogni uomo, incontra l’albero del perdono: un albero di salvezza offerto a ciascuno. Perciò corriamo pure noi verso il Calvario, perché “Il Calvario è il monte degli innamorati” (San Francesco di Sales), il monte di chi si ama: Cristo e noi! Il Calvario non è solo il luogo dell’agonia e morte di Gesù, ma è il luogo dell’Amore che Cristo ha riversato sull’umanità. Quindi all’Amore gratuito del Signore corrisponda il nostro amore riconoscente a lui e al prossimo. In questo Venerdì Santo, ma anche oltre, lasciamoci attrarre dal Crocifisso correndo al monte di chi si ama! IL GIARDINO DELLA GIOIA. Il Cristo morto è deposto in un “giardino”, simbolo del nuovo “eden”, in un sepolcro nuovo, che Giuseppe d’Arimatea aveva messo a disposizione. La grossa pietra, come un sigillo sulla tomba, sembrava cancellare tutte le promesse divine. Però il masso é stato trovato rovesciato e la tomba è stata vista vuota dalle tre donne. Ma l’annuncio dell’angelo ridona speranza alle paurose: “Non è qui, è risorto come aveva detto” (cfr. Lc 24, 1-12). Così il Risorto cerca nel “giardino” il perduto Adamo, ciascuno di noi. In questa Domenica di Pasqua, e anche dopo, lasciamoci trovare da Gesù Risorto, perché ci riempia la vita di gioia e di perdono! A tutti auguro una Santa Settimana! Don Francesco
LETTERA PER IL TEMPO DI QUARESIMA E IL TEMPO DI PASQUA L’Arcivescovo: in Quaresima per vivere la Pasqua da persone nuove Accogliere la Parola che chiama a conversione per praticare la «correzione»: da qui l'invito a valorizzare i percorsi penitenziali e a celebrare questo tempo con particolare intensità. «Solo persone nuove possono celebrare la Pasqua nuova, perché, ricolme della pienezza di Dio, si radunano, pregano, cantano, con cuore nuovo. Pertanto più seria e attenta dovrà essere la celebrazione della Quaresima, accogliendo la Parola che chiama a conversione». È l’auspicio di monsignor Mario Delpini contenuto nella nuova Lettera per il tempo di Quaresima e di Pasqua dal titolo Celebriamo una Pasqua nuova. Il Mistero della Pasqua del Signore. Continua così la proposta pastorale dell’Arcivescovo per questo anno ancora caratterizzato dalla pandemia, ricordando le celebrazioni dello scorso anno con le chiese deserte e tutti collegati da casa. La speranza è di tornare quest’anno a viverle pienamente nelle chiese. Monsignor Delpini nella lettera propone alcune parole chiave per sviluppare la sua proposta. La correzione «La tribolazione che stiamo vivendo in questa pandemia ha costretto alcuni a lunghe solitudini, altri a convivenze forzate – scrive l’Arcivescovo -. Molti forse hanno sperimentato quell’emergenza spirituale che inaridisce gli animi e logora la buona volontà e rende meno disponibili ad accogliere la correzione e le proposte di nuovi inizi. Questo è il momento opportuno per domandarsi perché l’inerzia vinca sulla libertà, perché il buon proposito si riveli inefficace, perché la parola che chiama a conversione invece che convincere a un percorso di santità possa essere recepita come un argomento per criticare qualcun altro». Dunque, l’Arcivescovo parte dalla correzione, che «è anzitutto espressione della relazione educativa che Dio ha espresso nei confronti del suo popolo». Un Padre misericordioso, che non punisce, ma ama. «Non sembra pertinente, infatti, interpretare le tribolazioni della vita e le disgrazie come puntuali interventi di un Dio governatore dell’universo, intenzionato a punire il popolo ribelle per correggerlo. Dio, invece, corregge il suo popolo cercandolo e parlandogli in ogni momento di tribolazione e in ogni luogo di smarrimento. Lo richiama con una misericordia sempre più ostinata della stessa nostra ostinazione nella mediocrità del peccato. Lo trae a sé con vincoli d’amore ogni volta che, intontito in una sazietà spensierata o incupito in disgrazie deprimenti, chiude l’orecchio alla sua voce. Lo libera dall’asservimento agli idoli, dalla schiavitù del peccato. La correzione di Dio è il dono dello Spirito, frutto della Pasqua di Gesù, lo Spirito che a tutti ricorda Gesù, speranza affidabile, cammino praticabile». La correzione è così importante non solo a livello personale, ma anche comunitario. «Nella comunità cristiana la correzione ha la sua radice nell’amore, che vuole il bene dell’altro e degli altri – sottolinea monsignor Delpini -. Non possiamo sopportare quella critica che non vuole correggere, ma corrodere la buona fama, la dignità delle persone; non possiamo sopportare quel modo di indicare errori e inadempienze che sfoga aggressività e risentimento». Un’aggressività, che sfocia spesso nell’odio, anche a livello culturale e politico. «Nel dibattito pubblico sono frequenti parole ingiuriose e toni sprezzanti che umiliano le persone, senza aiutare nessuno». Eppure l’esempio di Gesù è radicalmente diverso: «Nel linguaggio paradossale del Vangelo, Gesù mette in guardia dalla pretesa di giudicare i fratelli. Nello stesso tempo Gesù raccomanda la via della correzione fraterna per edificare la comunità nella benevolenza». La pratica della correzione fraterna non è sempre così diffusa. Invece riveste un ruolo significativo nel cammino di conversione della comunità cristiana. Con esempi molto autorevoli. «La correzione fraterna è una forma di carità delicata e preziosa – precisa l’Arcivescovo -. Dobbiamo essere grati a coloro che per amore del bene della comunità e del nostro bene ci ammoniscono. Tutti ne abbiamo bisogno: il vescovo, i preti, coloro che hanno responsabilità nella comunità e nella società. Credo che dobbiamo molta gratitudine a papa Francesco che in tante occasioni, con fermezza e parole incisive, invita a essere più docili allo Spirito e più coerenti con le esigenze del Vangelo. Ne abbiamo bisogno: confidiamo che ci siano fratelli e sorelle capaci di unire la franchezza con la benevolenza». Con uno stile preciso: «Abbiamo la responsabilità di aiutare i fratelli e le sorelle anche con la correzione, proposta con umiltà e dolcezza, ma insieme con lucidità e fermezza». La correzione è un aspetto della relazione educativa, tuttavia sono da mettere in conto le resistenze. «Il rapporto amorevole dei genitori con i figli non basta a fare della correzione un motivo di limpida gratitudine, contiene anche un aspetto di tristezza, di reazione contraria che si esprime in modi differenti nelle diverse età della vita». Analogamente questo vale anche per la dimensione comunitaria. «Nelle dinamiche dei rapporti ecclesiali si possono constatare analoghe resistenze e talora reazioni poco disponibili alla correzione. La superbia, la suscettibilità, la superficialità, la confusione, il conformismo sono pastoie che inceppano il cammino, vincoli che non ci permettono di essere liberi, ferite di cui non vogliamo essere curati. Il tempo di Quaresima è il tempo opportuno per dare un nome alle radici della resistenza e invocare la grazia di estirparle». Percorsi penitenziali Seconda parola chiave è quella relativa ai percorsi penitenziali: «Il tempo di Quaresima è tempo di grazia, di riconciliazione, di conversione». L’Arcivescovo riconosce che «il sacramento della riconciliazione è un dono troppo trascurato. Il tempo della pandemia ha fatto constatare con maggior evidenza una sorta di insignificanza della confessione dei peccati nella vita di molti battezzati». Non bisogna però lasciarsi abbattere. E rilancia il sacramento della riconciliazione: «La proposta di questa Quaresima è di affrontare in ogni comunità il tema dei percorsi penitenziali e delle forme della confessione per una verifica della consuetudine in atto, un confronto critico con le indicazioni del rito e le diverse modalità celebrative indicate». In particolare, monsignor Delpini invita «a rivolgere l’attenzione e a vivere con fede la confessione individuale e la celebrazione comunitaria nella riconciliazione con assoluzione individuale». Con le dovute attenzioni: «È dovere dei pastori curare le condizioni per cui il dialogo penitenziale possa avvenire in ambiente adatto e in sicurezza. Ma credo che oggi sia più che mai importante l’incontro con il confessore per dialogare, aprirsi alla Parola di Dio, porre domande, accogliere i consigli, invocare quel perdono che lo Spirito di Dio ci fa desiderare. Cerchiamo la confessione non per trovare sollievo a sensi di colpa che ci tormentano, ma per rispondere al Signore che ci chiama e ci aiuta a leggere la nostra vita con lo sguardo della sua misericordia». Tutto questo porta frutto: «Il perdono non è una storia che finisce, ma una vita nuova che comincia, anche in famiglia, anche sul lavoro, anche nel condominio…».
Festa della famiglia… in casa! Certo che nessuno può dire che quest’anno non la si vivrà nel suo proprio ambiente naturale! Cosa significa vivere la festa della famiglia … chiusi in casa? Non ho la pretesa di “insegnare al gatto ad arrampicarsi”… però qualche suggerimento che mi arriva dall’ascolto di esperienze e dal tempo trascorso in compagnia di tante famiglie sento di poterlo condividere ad alta voce. 1. prendetevi cura del vostro volervi bene come marito e moglie: tra le tante cose urgenti, tra le tante sollecitazioni che vi assediano, mi sembra che sia necessario custodire qualche tempo, difendere qualche spazio, programmare qualche momento che sia come un rito per celebrare l'amore che vi unisce. L’inerzia del momento presente con le sue frenesie e le sue paure, il logorio della convivenza “forzata”, il fatto che ciascuno sia prima o poi una delusione per l’altro quando emergono e si irrigidiscono difetti e cattiverie, tutto questo finisce per far dimenticare la benedizione del volersi bene, del vivere insieme, del mettere al mondo i figli e introdurli nella vita. L’amore che vi ha persuasi al matrimonio non si riduce all’emozione di una stagione un po’ euforica, non è solo un’attrazione che il tempo consuma. L’amore sponsale è la vostra vocazione: nel vostro volervi bene potete riconoscere la chiamata del Signore. Il matrimonio non è solo la decisione di un uomo e di una donna: è la grazia che attrae due persone mature, consapevoli, contente, a dare un volto definitivo alla propria libertà. Il volto di due persone che si amano rivela qualcosa del mistero di Dio. 2. Custodite la bellezza del vostro amore e a perseverare nella vostra vocazione: ne deriva tutta una concezione della vita che incoraggia la fedeltà, consente di sostenere le prove, le delusioni, aiuta ad attraversare le eventuali crisi senza ritenerle irrimediabili. Chi vive il suo matrimonio come una vocazione professa la sua fede: non si tratta solo di rapporti umani che possono essere motivo di felicità o di tormento, si tratta di attraversare i giorni con la certezza della presenza del Signore, con l’umile pazienza di prendere ogni giorno la propria croce, con la fierezza di poter far fronte, per grazia di Dio, alle responsabilità. 3. Pregate insieme. Il tema della festa della famiglia che quest’anno la nostra diocesi ha voluto proporre è quello del «trovare il tempo per Dio». Già questa sera, poi domani e poi sempre: una preghiera semplice per ringraziare il Signore, per chiedere la sua benedizione per voi, i vostri figli, i vostri amici, la vostra comunità: qualche “Ave Maria” per quelle attese e quelle pene che forse non riuscite neppure a dire tra di voi. 4. Trovate il tempo per parlare tra voi con semplicità, senza trasformare ogni punto di vista in un puntiglio, ogni divergenza in un litigio: un tempo per parlare, scambiare delle idee, riconoscere gli errori e chiedervi scusa, rallegrarvi del bene compiuto, un tempo per parlare, senza fretta. 5. Abbiate fiducia nell’incidenza della vostra opera educativa: troppi genitori sono scoraggiati dall'impressione di una certa impermeabilità dei loro figli, che sono capaci di pretendere molto, ma risultano refrattari a ogni interferenza nelle loro amicizie, nei loro orari, nel loro mondo. La vostra vocazione a educare è benedetta da Dio: perciò trasformate le vostre apprensioni in preghiera, meditazione, confronto pacato. Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto. Educare è una grazia che il Signore vi fa: accoglietela con gratitudine e senso di responsabilità. Talora richiederà pazienza e amabile condiscendenza, talora fermezza e determinazione, talora, in una famiglia, capita anche di litigare e di andare a letto senza salutarsi: ma non perdetevi d’animo, non c’è niente di irrimediabile per chi si lascia condurre dallo Spirito di Dio. Quasi quasi, vivere la festa della famiglia “chiusi in casa”, alla fine non è proprio un’esperienza tutta da buttare… Don Giampietro
La proposta della nostra Comunità: Fondo San Giuseppe - Emergenza profughi nei Balcani È da un paio di settimane che tengo d’occhio un caro nonnino che sta preparando il suo orto: ha tolto le vecchie colture rinsecchite, strappato i rovi, tolto i sassi, vangato la terra, arata per bene e stamattina i suoi due grandi appezzamenti erano cosparsi uno di cenere e l’altro di letame. Pronti alla pioggia e al sole che renderanno fertile il terreno per le sue piantine. Quella cenere e quel letame mi sono apparsi un’immagine efficace delle due emergenze verso cui indirizzare le nostre iniziative di carità in questa quaresima. Cenere : come tutte quelle famiglie che in questo tempo così difficile di pandemia hanno visto andare in fumo tutto. Hanno perso il lavoro a causa del Coronavirus, non riescono a pagare le utenze e dar da mangiare ai figli, i risparmi hanno preso il volo e con essi anche le prospettive per un futuro accettabile, i “ristori” sono una chimera ed è vergognoso chiedere aiuto quando si è sempre riusciti a provvedere alle proprie famiglie. I sogni si sono ridotti in cenere per molti ma per sostenere la loro speranza ed esprimere una solidarietà concreta la Caritas Ambrosiana ha istituito un fondo speciale (il fondo San Giuseppe) a favore di coloro che a causa dell’epidemia non hanno alcuna forma di sostentamento. Questi fondi sono distribuiti alle fasce più deboli attraverso la rete dei Centri d’Ascolto che operano sul territorio (anche la nostra Caritas ha sostenuto la richiesta di qualche famiglia ottenendo aiuto). Letame : tali appaiono migliaia di uomini, donne bambini in fuga da guerre e violenze nei loro paesi d’origine che si dirigono, spesso a piedi, verso la frontiera con la Croazia per cercare di attraversare i confini con l’Unione Europea. Trovano rifiuto e violenze, devono ritornare indietro con il pericolo di attraversamento di zone minate, sbandati, maltrattati, costretti a condizioni di vita indegne per un essere umano. Fame sete, freddo, sporcizia, degrado fisico e psicologico aggravati dall’indifferenza dei politici per cui sono solo spazzatura … letame appunto! Caritas Ambrosiana con la Croce Rossa locale è attiva nella distribuzione di pasti caldi, vestiti e aiuti umanitari e nell'animazione rivolta ai minori nel campo profughi "Bira" a Bihać, ma soprattutto restituisce dignità a esseri umani trattati come bestie. Apri il tuo cuore alla solidarietà, lascia che questa cenere e questo letame rendano fecondo il terreno della tua vita, lascia che il loro dolore penetri dentro di te perché tu possa dare frutti d’amore e di conversione e l’altro non sia più lo scarto, lo straniero, l’approfittatore, l’intruso, la minaccia alla tua sicurezza, lo scansafatiche, l’avventuriero ma il fratello nato dalla stessa terra e dallo stesso soffio vitale di Dio che è Padre di tutti, il fratello in Cristo che è morto per tutti. Fratelli tutti , sentiamoci così, come ci invita a chiamarci Papa Francesco nella sua ultima enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale. Comincia con un piccolo gesto che permetta allo Spirito di dare frutto nella tua vita e far germogliare pian piano rapporti nuovi che cambiano il mondo. Nessuno potrà dirti grazie ma la gratuità è la caratteristica principale di ogni dono di Dio … anche di quelli che fa a te. Suor Maura Troverai in chiesa delle buste con l’indicazione per l’offerta da lasciare nell’apposita cassetta oppure se vuoi puoi fare un bonifico* (specificando la causale che desideri ) … soprattutto prega lo Spirito che faccia maturare una primavera di fraternità, Pasqua per la vita di ogni uomo. *Parrocchia San Giovanni in Avigno – Sez. Comunità Pastorale. Interventi caritativi. IT87N0538710810000042325598
23 febbraio 2020: inizia ufficialmente il lockdown in Italia, chiuso tutto. Alle ore 16:00 arriva l’ordinanza dall’ufficio avvocatura della Curia: si sospendono tutte le celebrazioni, Messe comprese! Sul foglio “in Cammino” di sabato 22 era già stato pubblicato in grande evidenza il cammino quaresimale della nostra Comunità Pastorale… la mia prima quaresima tra voi! Panico… come è possibile… sarà solo un blocco temporaneo; appena scopriranno che questo “coronavirus” è poco più di un’influenza ci faranno riaprire tutto… Tant’è vero che sul foglio “in Cammino” della settimana successiva, 29 febbraio, abbiamo riportato il seguente avviso: “ I seguenti eventi si ritengono confermati solo qualora cessasse l'ordinanza pubblica di sospensione delle diverse attività (pubbliche o private) che comportano l'assembramento di persone”… mai attesa è stata più … disattesa e snervante! Quest’anno finalmente inizio … la quaresima che mi manca. È vero che non la riprendiamo “a pieno regime”, ma rispetto all’incubo dello scorso anno in cui noi sacerdoti abbiamo celebrato davanti ad una telecamera, quest’anno è veramente tanta ricchezza! Sulle pagine di questo foglio trovate il programma dettagliato dei cammini che con il Consiglio Pastorale si è scelto di intraprendere. Ora mi limito ad indicarvi lo stile, i punti di forza dei nostri 40 giorni quaresimali. Non derive spirituali ma deserto per interiorizzare. Ci sono già tante emergenze che dobbiamo affrontare in questo periodo, non lasciamoci prendere anche dall’emergenza spirituale. La nostra quaresima vuole essere una risposta concreta a questa emergenza. Meditazioni, celebrazioni liturgiche, confessioni, colloqui spirituali… tutti “vaccini” che proponiamo per far fronte a questa emergenza che rischia di intaccare nel profondo la nostra umanità di persone che sente la necessità di non essere lasciata sola. Non croci di cui ribellarsi, ma una Croce da cui lasciarsi portare. Stiamo attenti a non applicare troppo facilmente l’etichetta di “croce” a tutto ciò che ci cade addosso nella vita in questi tempi. Il Signore non cerca in questa quaresima “nuovi crocifissi”, gliene è bastato uno solo, il Figlio! Cerca piuttosto nuovi figli che si lasciano soccorrere da Lui per una nuova risurrezione, per dirci che anche Lui ha voglia di ricominciare con un’umanità resa nuova dalla fede e dalla carità reciproca. Vorremmo vivere il nostro itinerario quaresimale all’insegna del lasciarci correggere da Dio, senza paure di intraprendere cammini penitenziali che ci possano portare ad essere più contenti perché rinnovati. Non celebrazione “di nuovo” della Pasqua ma direzione verso una Pasqua nuova. Questo è la provocazione che ci affida il nostro Arcivescovo. Non vorrei vedere fedeli accorrere in chiesa per assistere ai “soliti riti”, quasi per convincerci che la vita è ripresa normalmente come prima, ma fratelli nella fede che, proprio come me e gli altri sacerdoti e suore della comunità, desiderano risorgere dalla negatività che si portano appresso come scoria del periodo che stiamo attraversando. Io, voi, tutti… desideriamo risorgere dal pessimismo che ci portiamo addosso, desideriamo guardare con gli occhi del Risorto il tratto di vita nuova a cui la quaresima ci indirizza. No, carissimi, nella prossima quaresima non andremo in cerca di uno scoop che ci offra la carica che non abbiamo più, cercheremo invece nella croce il germe d’amore che Gesù vi ha messo perché … si può sigillare un sepolcro con una guardia davanti, si può provare a rendere difficile la partecipazione alle celebrazioni con un coprifuoco serale, si può provare a continuare a mettere paura nella gente… ma non si può impedire che la vita abbia inizio in coloro che l’hanno compresa… Ecco la quaresima che ci manca. Buon cammino Don Giampietro
Dal 22 Gennaio al 19 Febbraio Alla presenza dell’Arcivescovo, sette serate promosse dalla Formazione permanente del clero: diretta web dalle 20.30, possibilità di inviare domande, video poi disponibili on line. Al centro la dimensione fraterna e missionaria delle nostre comunità, anche alla luce dell’esperienza della pandemia. «Il ramo di mandorlo» è il titolo di una serie di sette incontri che la Formazione permanente del clero della diocesi di Milano, dal 22 gennaio al 19 febbraio (in allegato il programma ) offre a tutti – laici, consacrati e clero – e in particolare ai membri dei Consigli delle Comunità pastorali e delle parrocchie, alle persone consacrate impegnate nei servizi delle comunità, agli operatori pastorali, alle Associazioni, Movimenti e Gruppi ecclesiali presenti in Diocesi. Il titolo è tratto dal primo capitolo del libro del profeta Geremia. «Cosa vedi, Geremia?», chiede il Signore. «Un ramo di mandorlo», risponde il giovane profeta. «Hai visto bene, perché io vigilo sulla mia parola per realizzarla», replica il Signore. Il ramo di mandorlo è, quindi, il segno che il Signore vigila sulla sua parola, Lui stesso la realizzerà nel suo popolo. L’immagine infonde fiducia (il profeta non sarà solo) e speranza (il Signore compirà la sua parola). Con questa stessa fiducia e speranza, l’itinerario degli incontri intende aiutarci a riflettere sul volto della Chiesa di Milano in modo da cogliere come il Signore ancora oggi “veglia” sulla sua parola, realizzandola in mezzo a noi. Il primo incontro sarà dedicato a una rilettura del percorso pastorale della nostra Diocesi caratterizzato dall’esperienza delle Comunità pastorali, da un lato, e dal Sinodo dalle genti, dall’altro. Gli incontri che seguono si soffermeranno, invece, su alcuni degli aspetti principali della vita cristiana: l’Eucarestia, la preghiera, l’annuncio, le relazioni, la carità e la testimonianza. Sullo sfondo di questa proposta ci sono tre grandi istanze e un singolare kairos. 1.La prima istanza è quella neotestamentaria: l’esperienza degli apostoli – che si dispiega a partire dal «perché stessero con lui» (Mc 3,14) fino a quel «mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra» (At 1,8) – ci dice che la Chiesa, fin dalle origini, presenta una forma fraterna e missionaria. 2.La seconda è quella magisteriale: il recente magistero della Chiesa – dal Concilio Vaticano II al magistero di Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco – chiede una riforma della Chiesa in senso fraterno e missionario. 3.Infine, la terza istanza è quella pastorale: la scelta della nostra Diocesi di strutturare le parrocchie all’interno di comunità pastorali, pur con tutti i limiti e le difficoltà che sperimentiamo, valorizza la dimensione fraterna e missionaria della Chiesa. Queste tre istanze convergono nell’invito a trasformare sempre più le nostre parrocchie in comunità fraterne e missionarie. Il kairos è, invece, l’attuale contesto di pandemia nel quale l’isolamento e le distanze, da un lato, e la sofferenza e il bisogno della gente, dall’altro, ci hanno fatto sentire l’importanza di condividere la fede nella comunità e quella di annunciare la speranza che viene dal Vangelo. Sulla scia di queste istanze e di questo singolare kairos nasce dunque l’itinerario proposto, che si presenta come una rivisitazione della vita concreta delle nostre comunità alla luce dell’esperienza che abbiamo vissuto durante i mesi della pandemia. In concreto, gli incontri – che si svolgeranno nelle sette Zone pastorali e vedranno la presenza del nostro Arcivescovo Mario Delpini – inizieranno alle 20.30, avranno la durata di un’ora, saranno trasmessi in diretta sul portale della Diocesi (www.chiesadimilano.it) e sarà possibile partecipare anche attraverso domande da inviare su WhatsApp (347.5869065) perché alcune di esse siano rivolte al relatore. L’occasione di un tempo di formazione insieme come popolo di Dio diventa un invito a scegliere personalmente la partecipazione a queste serate, sia nella forma della diretta, sia in quella di una ripresa di queste serate. Sul portale della Diocesi rimarranno disponibili i video e prossimamente sarà pubblicato un libretto che raccoglierà i contenuti delle relazioni e pensati appositamente per la pubblicazione. Anche a livello di Consigli pastorali o di gruppi ecclesiali saranno preziosi alcuni appuntamenti di ripresa insieme e di discernimento spirituale e pastorale su questi temi con il materiale offerto da queste serate formative. Invitiamo tutta la comunità pastorale, in particolare i consiglieri del consiglio pastorale e degli affari economici a partecipare on line a questi momenti formativi. Il primo appuntamento, destinato proprio alla nostra zona pastorale sarà venerdì 22 gennaio alle ore 20.30. La diaconia di monsignor Ivano VALAGUSSA ed Equipe della Formazione permanente del clero Scarica il PROGRAMMA degli INCONTRI SCARICA la LOCANDINA
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme. (Luca 24, 28-33) Quando leggo questo brano di Vangelo trovo sempre nuove ispirazioni. Sarà perché è diventato familiare negli anni tra prime comunioni, celebrazioni pasquali,.... Ma sarà anche perché è Parola di Dio che ci invita sempre a muovere nuovi passi. Quel giorno i discepoli hanno potuto riconoscere il Risorto attraverso questi attimi: il pane benedetto e spezzato, le parole che infuocano il loro cuore lungo la strada, il riconoscere insieme, non da soli, che quel misterioso viandante era il Signore. Insomma è in un’esperienza viva e in presenza che i discepoli riconoscono come nel loro cammino nulla è finito, ma tutto ricomincia, lì da Gerusalemme tutto riparte. È passato un anno dall’inizio di questa pandemia. Un tempo storico questo che ci ha portato a ripensarci, anche nel nostro modo di celebrare l’eucarestia. Il tempo in cui siamo stati costretti a celebrare in privato l’eucaristia, rendendola accessibile a tutti voi attraverso la diretta streaming è stato un momento forte, dove l’obiettivo vero non era tanto quello di fare in modo che a casa ognuno celebrava la sua messa, quasi come se fosse un gesto privato, ma che ognuno, invece, si sentisse parte della comunità che insieme celebra l'eucaristia, in una sinfonia di intercessione gli uni per gli altri. Siamo poi tornati in presenza. Le nostre chiese e le nostre comunità si sono adoperate per attivare una accoglienza “in sicurezza”, ognuno mettendo a disposizione le sue capacità lavorative. È in questo articolo di In Cammino che vogliamo ringraziare i volontari dell’accoglienza e i referenti della sicurezza delle nostre parrocchie per il lavorio che ancora oggi vivono perché possiamo celebrare insieme in sicurezza l’Eucarestia. Ancora una volta torna l’esperienza di comunità, torna la bellezza del celebrare insieme. La riapertura delle celebrazioni ad oggi, tuttavia, conosce ancora qualche resistenza, soprattutto per la paura per il Covid, anche se non manca di constatare qualche segno di pigrizia, per la comodità di vedere la messa da casa. Come pastori della Chiesa dopo una attenta riflessione, vogliamo donarvi alcune nostre considerazioni, che siano di aiuto per il cammino comunitario. 1. Lo streaming è un valore per i fratelli e le sorelle che ad oggi sono anziani, malati o vivono già da tempo la malattia o la sofferenza e diventa un valore per tutta la comunità solo di fronte a un atto emergenziale grave, quale è stato la chiusura delle celebrazioni (quindi non più questo momento). Questo nuovo strumento permette quindi la possibilità di allargare la preghiera ai fratelli veramente impossibilitati a partecipare all’eucaristia, al celebrare insieme la messa. Tuttavia il valore di questo celebrare sta nel vivere questa celebrazione nell’orario della celebrazione e non quando ci pare e piace. Per questo una prima indicazione che vogliamo donare è che la diretta streaming sarà trasmessa nell’orario della messa domenicale delle 10.30 e feriale delle 8.30, ma dopo la sua trasmissione sarà cancellata, in quanto si conclude la celebrazione insieme con la comunità. 2. La comunità celebra l’eucaristia attorno all’altare del Signore. Lì viviamo il gesto di portare la nostra vita, i nostri sensi, i nostri affetti, le nostre offerte al Signore. Lì ognuno di noi, alla luce del Battesimo, ha un ministero sacerdotale, cioè un ministero che è fondamentale per entrare insieme nel mistero. Anzitutto la preghiera personale: entriamo in Chiesa e usciamo dalla Chiesa in silenzio, entrando così nel linguaggio di Dio che ci invita a mettere da parte tante cose inutili, e a sapere guardare con verità la nostra vita nella preghiera, dialogo singolare con lui. Poi ci sono dei ministeri specifici, entro cui si declina l’essere sacerdoti da parte del popolo di Dio: i lettori, i cantori, i chierichetti, i ministri straordinari dell’eucaristia, i sacristi, i fioristi, coloro che puliscono la chiesa e la preparano, ma anche coloro che raccolgono le offerte e con questo tempo di pandemia il servizio dell’accoglienza, importantissimo in parrocchie come le nostre che vivono un contesto cittadino, e quindi movimentato. Siamo tutti insieme che celebriamo l’eucaristia, non solo il prete, che presiede l’assemblea, guidandola così a vivere l’esperienza dei discepoli di Emmaus, che lo riconobbero nello spezzare il pane, nello spezzarsi per amore. 3. Non vogliamo lasciarvi da soli. Abbiamo compreso due aspetti importanti in questo tempo, che vogliamo vivere. Il primo è che ognuno ha una storia personale non scontata. Questo vuol dire che da una parte cercheremo di invitarvi a ritornare a celebrare l'eucaristia, ascoltandovi di fronte alle motivazioni che presenterete. Cercheremo in questo ascolto di stare vicini anche ai fratelli e sorelle che per motivazioni legate a situazioni canoniche, soprattutto penso ai divorziati risposati, non accedono alla comunione. Per loro vogliamo metterci accanto, in ascolto, per vivere come ci ricorda papa Francesco percorsi di fraternità che aiutino questi fratelli e sorelle a tornare a nutrirsi dell’eucaristia, cibo non solo spirituale, ma anche nutrimento del corpo. Ma, in attesa di questo dialogo, che deve partire da voi, vogliamo riproporre la preghiera della comunione spirituale, perché possiate con la comunità essere uniti spiritualmente a lei nel gesto della comunione. Il secondo aspetto che vogliamo vivere è la sete di parola che ogni membro della comunità ha. Abbiamo notato un ascolto principale delle messe soprattutto nella parte omiletica. Per questo vogliamo lasciare sul canale You Tube le omelie della domenica che noi sacerdoti proclameremo nella messa delle 10.30. Ascoltare l’omelia e basta rende non valida la celebrazione dell’eucarestia, ma l'esercizio dell'ascolto della Parola (lectio) accompagnata dalla riflessione omiletica di noi sacerdoti può diventare un esercizio di preghiera che nutre il cammino personale e comunitario. Così il canale You Tube diventa l'occasione per continuare a nutrire il cammino spirituale personale e comunitario che mi guida a celebrare il vertice della mia esistenza cristiana, il vertice dell'amore di Dio che si dona con il suo corpo e sangue, con il dono della vita. Partirono senza indugio. Con questo cuore riscaldato dal riconoscere un amore che non chiede un intermediario, ma una presenza viva e vera da parte nostra, riprendiamo con più consapevolezza la bellezza del celebrare insieme l'eucarestia, sapendo che sempre abbiamo bisogno di essere accompagnati da quel viandante, così straniero ai fatti di Gerusalemme, a prima vista, eppure così vicino al cuore dell'uomo, così vivo, perché il Vivente! E allora veramente sarà una nuova Pasqua quella che andremo a celebrare nel prossimo Triduo! Don Matteo
Celebrare la vita non è solo fare festa e gioire riconoscenti del regalo ricevuto. Celebrare la vita è anche entrare nel mistero di sofferenza, passione e morte che Gesù ha condiviso con noi perché tutto abbia un senso. Celebrare la vita è accorgersi che l’amore del Padre vince ogni dolore e lo rende fecondo d’eternità là dove anche la morte può essere chiamata “sorella” e quello che tutti considerano uno scarto può venire accolto come dono prezioso. Impossibile? No! La lettera di questo nonno della nostra Comunità ce ne dà testimonianza IL MIO NIPOTINO MORTO DOPO MEZZORA e quel prodigio in sala parto con i quattro fratellini Nel momento in cui ho varcato la soglia della chiesa e ho visto la piccola bara bianca, poco più grande di una scatola di scarpe, tutto si è svelato senza finzioni. Non c’è nulla al mondo come la morte di un neonato che tolga ogni illusione a noi esseri umani. Ci chiamiamo mortali perché questa è la definizione più appropriata. Nonostante l’apparente potenza tecnologica del nostro tempo, siamo mortali. Esattamente come l’uomo della caverna o della foresta. Il neonato si chiama Luigi, è mio nipote, figlio di mio figlio Giacomo e di sua moglie Maddalena. Una malformazione congenita svelata al momento di un’ecografia al terzo mese di gravidanza ha messo i genitori del bimbo, noi parenti e gli amici più vicini davanti a questa porta terribilmente stretta. Solo il pensiero di doverci passare attraverso, senza sapere quanto lungo e quanto duro sarebbe stato il cunicolo che essa svelava, mi metteva a disagio, mi creava un sordo fastidio che si ingrandiva col passare del tempo e col progredire della gravidanza. Soprattutto il pensiero per i genitori e i fratellini di Luigi, per quello che li aspettava inevitabilmente, senza sconti, scuoteva ogni mia certezza, eliminava ogni tranquillità… Mi sono sorpreso più volte a pensare che avrei voluto togliere loro questo peso in qualunque modo, magari anche chiedendo, con la mia poca fede, il miracolo della guarigione a Dio. In mezzo a questo mare di nebbia grigia e triste, rassegnato al peggio, qualcosa di inaspettato è accaduto davvero. Capovolgendo la mia vita rispetto al mio miope sguardo: non è stata la guarigione, cercata forse solo come sistemazione delle cose, per evitare il peggio. Ho aperto gli occhi su quello che la malattia di Luigi stava creando: una trasformazione radicale delle persone, in primo luogo di mamma Maddy, di papà Giacomo e dei loro figli, la possibilità di guardare Luigi con apertura di cuore, lo stupore di incontrare continuamente Qualcuno che ci cammina accanto e che noi riconosciamo nel nostro cuore che cambia, che lo avverte. Il signore della vita ci guarda e cammina con noi, ci visita e ci costringe a essere essenziali, a vedere nell’altro il mistero della vita. In queste settimane ho riconosciuto in mio figlio e sua moglie una fede viva e vissuta a cui guardare: la certezza che la vita del loro Luigi, durata mezz’ora, ha un senso e un destino compiuto, è utile per tutti. Imparare dai propri figli è una nobile affermazione, farlo davvero è un’esperienza di pienezza particolare e forse anche di umiltà. Durante le diverse visite ospedaliere durante la gravidanza, quando si è fatta strada purtroppo la certezza di questa malformazione incompatibile con la vita dopo la nascita, Maddy e Giacomo hanno stupito gli operatori sanitari che li incontravano: il loro affetto senza misure, senza condizioni, dettato da un amore ma anche da una ragione che non è offuscata dalle ideologie sui figli non voluti o dai soliti “si deve sempre far così” e che ha vissuto qualcosa che non si fa mai: trattare il proprio figlio come se fosse una persona. Il “come se fosse” è d’obbligo: eliminare tuo figlio perché difettoso, come fan tutti, naturalmente e scontatamente, significa non considerarlo una persona, non valutarlo un figlio. Forse solo un incidente di percorso o un pezzo anatomico malriuscito. Ma è veramente una persona e allora le conseguenze fioriscono spontaneamente. Attenderlo nel raccoglimento di quei dolorosi mesi, sentirlo muovere silenzioso, controllarlo regolarmente, condividere con gli amici e i famigliari la preghiera continua per un bene che ognuno nel suo cuore identificava con un’aspettativa diversa (ma va bene così, ogni domanda ha la sua infinita dignità, nessuna domanda sincera a Dio può essere quella sbagliata), preparare i fratellini all’esistenza di questo nuovo bimbo che ha tanta fretta di tornare da dove era venuto, quasi un visitatore che ci tiene moltissimo a salutarci e a portarci i saluti di chi l’ha inviato come vero angelo, anche solo per mezz’ora ma ci tiene proprio, per poi ripartire per affari molto importanti, tutto questo è stato dolorosamente normale per la sua famiglia. Il loro amore, umile e disponibile, ha semplicemente voluto trattare Luigi come una persona. Niente di più di quello che è. Rispetto assoluto e dovuto. Non esagerazioni o ideologie religiose, non certo fanatismo pro-life. No, semplicemente Luigi, il loro quinto figlio. Il loro amatissimo e desiderato figlio. L’imbarazzo di tanti cui si raccontava di questa dolorosa e amata gravidanza si concludeva quasi sempre così: “ma come, lo porta a termine?”. Come se una persona dovesse giustificare la propria esistenza dimostrando qualcosa o promettendo di compiere un’aspettativa, un futuro di valore. Altrimenti niente. Quando Luigi è nato, poco prima di mezzanotte, Caterina, Stefano, Lucia, Francesco dormivano nel lettone a casa di noi nonni. La videotelefonata di Giacomo con la notizia della nascita di Luigi ha interrotto il loro sonno pieno di attesa. Li abbiamo svegliati per mostrare loro i genitori che abbracciavano Luigi che respirava a fatica nella sua unica mezz’ora di vita terrena e per farlo loro conoscere. Un momento drammatico per tutti, ma anche pieno di una strana letizia. “Che bello mamma, ti assomiglia, che piccolo, come sta? Mettigli il cappellino che ti ho dato io”. Tra le lacrime di tutti. Poi quello che né io né tutto il personale della sala parto in quel momento stranamente affollata e raccolta dimenticherà mai è stata la proposta di mamma Maddy ai suoi figli: “Bambini, cantiamo insieme l’angelo di Dio”. Pochi minuti di estasi (forse bisogna sentirlo per credere, ma anche chi non l’ha sentito può ragionevolmente credere) in cui oltre a piangere ho capito che nessuno è esentato da questo amore che chiede sempre di più per sua natura. Che chiede molto, che apparentemente ti porta via un figlio, ma che ti regala bellezza e intensità che non saresti mai capace di creare da solo, di inventare. Non mi scorderò mai questo canto condiviso tra una sala parto e quattro bimbi. Un prodigio, un paradiso. Ma chi dà il coraggio e la spontaneità di fare questo al culmine di un dramma certamente darà tutto quello di cui abbiamo bisogno: la sua intensa vicinanza. Alberto Reggiori Celebrare la vita è prendersene cura nei fratelli ammalati Come ci suggerisce Papa Francesco in occasione della XXIX giornata mondiale del Malato (11 febbraio): “Cari fratelli e sorelle, il comandamento dell’amore, che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli, trova una concreta realizzazione anche nella relazione con i malati. Una società è tanto più umana quanto più sa prendersi cura dei suoi membri fragili e sofferenti, e sa farlo con efficienza animata da amore fraterno. Tendiamo a questa meta e facciamo in modo che nessuno resti da solo, che nessuno si senta escluso e abbandonato”. Nella situazione attuale di pandemia, in cui tutti ci sentiamo così vulnerabili, occorre che ciascuno si senta chiamato a passare dalle parole ai fatti e a farsi vicino a chi è solo o malato. La vicinanza, infatti, è un balsamo prezioso, che dà sostegno e consolazione a chi soffre nella malattia. È vero che le restrizioni ci impongono un allontanamento sociale e impediscono gesti d’affetto ma niente ci vieta di essere creativi e trovare modi alternativi di vivere questa vicinanza e come sarebbe bello che la vivessimo, oltre che personalmente, in forma comunitaria: infatti l’amore fraterno in Cristo genera una comunità capace di guarigione, che non abbandona nessuno, che include e accoglie soprattutto i più fragili. È vero anche che quest’anno non potremo neanche celebrare la consueta Messa del Malato e la relativa Unzione degli Infermi (speriamo di poterlo fare nel mese di maggio) ma questo non significa che la comunità non possa esprimere la sua attenzione in altri modi. Celebrare la vita è prendersene cura nei fratelli ammalati